LA CONTRADDIZIONE DELLE NUVOLE IN CANTINA

Pubblicato il da stefy.stefy

LA CONTRADDIZIONE DELLE NUVOLE IN CANTINA

Aveva mandato un whatsappino al tipo del locale dove si rifugiava quando era da sola, ma aveva voglia di uscire senza sentirsi fuori posto o a disagio.

Il posto era piccolo e accogliente, con i tavolini recuperati e le sedie diverse una dall’altra, come le persone che normalmente le occupavano. Trovava la stessa gente che non conosceva, ma che salutava. Il gestore era deliziosamente amichevole e trasudava della passione per il punto di aggregazione che aveva, nel tempo creato, rendendolo il posto sicuro delle persone che piacevano a lui.

Lei non era sicura di essere una delle persone che piaceva a lui, non era certa di essere stata scelta, ma, come spesso le accadeva, sapeva di avere scelto quel posto e sapeva che lui le piaceva, in senso lato, perché la faceva sentire a suo agio.

E le piaceva il vino che beveva li, cosi come i tarallucci al peperoncino che lo accompagnavano.

E le piacevano le sedie retrò e le cassette su cui appoggiarsi, che d’estate arredavano la porzione di largo marciapiede, intersecandosi con i radi passanti; le piaceva l’insegna lavanderia che primeggiava sull’unica vetrina dell’accogliente spazio interno, da cui si intravedeva il bancone e i colori appesi al muro, e che sviava tutti coloro che non conoscevano quel luogo e le piaceva l’odore che si respirava in quell’angolo tranquillo di strada, che si mischiava ai sapori usmati degli aromi bevuti. Le piaceva che non fosse mai solo un bicchiere, ma almeno due, si da diluire i pensieri in una fluidità scorrevole, permettendo ai nodi intricati del rimuginio di slegarsi.

Era un martedì sonnecchiante e lento e aveva voglia di uscire e di sentirsi bella.

Due semplici nuvolette

Ciao Umberto. Come stai? Ma stasera sei aperto? Pensavo di fare un salto a bere 1 calice

Ciao Lucrezia, tutto bene grazie e tu? Certo ho riaperto ieri, ma non c’è nessuno, vieni, ti aspetto!

Bene a dopo 😊

 

Aveva comprato con i saldi una splendida tuta nera, semplice, dritta e con un’ampia scollatura davanti, che non permetteva di vestirla con il reggiseno, ma ancora non l’aveva indossata. Non mostrava niente più di ciò che è lecito mostrare, ma induceva ad immaginare che alcuni movimenti potessero aprire una strada, che di fatto era cieca, attirando e mantenendo un’attenzione vigile, che non sarebbe stata soddisfatta.

Un leggero trucco completava l’abbronzatura che già arricchiva l’aspetto, i capelli raccolti con una bacchetta, di quelle per il sushi e gli orecchini pendenti, le scarpe alte e la mascherina. La sua borsa grande, quella era necessaria, perché con sé avrebbe portato il suo libro, che l’avrebbe aiutava a nascondersi dal mondo.

Una contraddizione: voleva sentirsi bella e uscire, stare con la gente, ma avrebbe voluto potersi nascondere, se necessario.

La luce all’imbrunire è sempre bella perché calda e quando stava girando l’angolo, come un girasole che si volta verso alzando il capo, lei si mise dritta, acquisendo un’andatura più decisa e cadenzata e arrivò lì davanti, sorridente.

Avrebbe abbracciato Umberto, cosi per perdersi nell’illusione di una relazione amichevole che solo lei sentiva cosi familiare, ma il Covid la tolse d’imbarazzo e le parole filtrate dalle mascherine colmarono il divario fisico.

Si sedette scegliendo il tavolo vicino ai vasoni degli odori (menta e timo) che facevano da perimetro, perché i sensi tutti le piacevano e l’olfatto tanto.

Quattro parole sul dove e quando delle vacanze e il consiglio su un fresco rosato, che mai avrebbe bevuto, perché il rosato non le piaceva, ma Umberto non lo ricordava. Il rosso, preferiva il rosso, che corposo, fermo e impregnante le dava sicurezza di un gusto pieno, ma scelse un bianco, fermissimo, fruttato come tutti i bianchi, ma piacevolmente rinfrescante.

Una contraddizione: sceglie il bianco, ma preferisce il rosso.

Pochi, anzi i soli due altri avventori oltre lei, catturarono l’attenzione dell’oste più di lei, ma erano clienti che lui aveva scelto.

Si sentì come a casa, un po' sola, con la differenza che non avrebbe potuto uscire, perché era già fuori.

Inconsciamente, ma condizionatamente, prese il cellulare e dopo avere fatto una foto, anche poco espressiva del suo calice, affiancato alla ciotolina dei tarallucci, taggando la vineria, nella vana speranza di accattivarsi una maggiore benevolenza del suo avventore, aveva accompagnato l’immagine con una smielata didascalia sulla sensazione di un’ostentata confidenza.

Due secondi, poco più forse e Marco, quel Marco che le era piaciuto subito dal primo momento che lo aveva visto, ma che, dal primo momento non aveva mostrato alcun interesse per lei, commentava il suo post, dicendo che il posto era proprio vicino casa sua.

Un tavolino di un delizioso locale, una ragazza vestita bene, anche un po’ sexy parla con un uomo, sorridendo e arrossendo, sembra una perfetta immagine di un piacevole appuntamento. Ma, impeccabilmente in sintonia con il nostro tempo, lei è bella, lei è imbarazzata, lei è sexy, lei è divertita e catturata, ma lui è dall’altra parte di un telefono.

Due io rispondo a te e tu rispondi a me, dopo, mediati da un po’ di sfacciataggine aiutata dal filtro del telefono e neanche un po’ intimoriti dalla potenzialità di partecipanti alla conversazione,  Marco l’avrebbe raggiunta.

Era un martedì di una settimana di vacanza di agosto, in cui la città rimbombava, vuota delle macchine non parcheggiate e delle persone che non passeggiavano, degli autobus che avevano diradato le corse e dei bambini che non urlacchiavano nei parchi. Era un martedì, lontano dal week end precedete e anche da quello successivo, silenziosamente rotto da pochi e netti rumori che, comparendo improvvisi, sfumavano una volta passati, perché non si perdevano nel sottofondo del brusio di un rumore costante e continuo, perché c’era uno spazio non riempito e non un pieno gonfio che non fa vedere i contorni. E questo le piaceva, perché permetteva di vedere miraggi nelle vuote strade e nella affollata mente. Era un martedì di una settimana di caldo afoso e umido.

Ferma si chiedeva come potesse cosi nitidamente sentire l’intorno inanimato, ma non riuscire ad ascoltare le persone. Era così veloce nei ragionamenti e nelle conclusioni che non lasciava lo spazio alle parole che le venivano dette, perché potessero incastrarsi nei concetti che volevano esprimere. Come quando leggeva scorrendo velocemente le lettere e aggregandole nella sua mente per formare le frasi, ritmate dalla punteggiatura e dalla intonazione che nella sua testa dava, creando quelle immagini che toccavano le sue emozioni, ma solo quelle che voleva venissero vibrate e deformava le espressioni aggiogandole al suo intendimento. Così facilmente ricadeva in un vortice, che dalla semplicità più assoluta la spostava verso una complicazione macchinosa. Ma avrebbe ascoltato, avrebbe cercato di capire, avrebbe provato a sentire cercando di attenuare il desiderio di guidare il dialogo nell’insensata certezza di controllarne lo svolgimento e direzionarne il tratto e i contenuti. Ed era vestita come si sarebbe voluta sentire, ma non certo come si voleva mostrare, certo era bella e sexy, Umberto gliel’aveva detto e il complimento di Umberto era sincero, perché disinteressato, ma sarebbe dovuta uscire da sola, con se stessa e si ritrovava di fronte a qualcuno, che la turbava in più, senza alcuna protezione.

Mentre affollava la mente con questi pensieri, le sue emozioni, da controllate e riconosciute stavano mutando in sconosciute sensazioni intricate poco imbrigliabili. Marco arrivò, serafico, pacifico, e sorridente, con dei comodissimi pantaloncini corti e una polo blu. Si sedette di fronte a lei e cominciò a parlare, prima con Umberto, mentre ordinava, e poi con lei. Anche ad Umberto piacque subito, si vedeva e lui certo si intendeva di uomini. La conversazione, improntata inizialmente su banalità di convenienza scivolò facilmente verso temi più coinvolgenti, senza che lei apportasse un contributo fondamentale alla direzione degli argomenti e senza che lei si sentisse obbligata o costretta, ma solo trascinata e coinvolta, parte di.

E che leggerezza, e che piacevolezza. Si salutarono dopo un paio di bicchieri di vino, risate confidenti, occhiate impertinenti all’altezza di un decolté intrigante seppure inespugnato, innocenti flirt aiutati dall’ebbrezza, ma non si scambiarono i numeri, dicendosi solo che magari si sarebbero rivisti in una di quelle uscite di amici comuni che avevano creato la prima occasione di incontro.

Per caso le cose accadono, l’interesse le reitera e le ricerca, ricrea le occasioni e fluidifica il corso di accadimenti che non devono essere né forzati né sospinti.

Non ne era delusa e per una volta godette del momento che aveva passato e solo di quello,  senza chiedersi cosa sarebbe potuto accadere dopo o come fare per farlo accadere ancora, perché lei lo sapeva che se lui avesse voluto rivederla avrebbe cercato di creare l’occasione, ma non lo aveva fatto e lei non era pronta per guidare niente, non ne sarebbe stata capace, e non era pronta neanche per abbandonarsi e farsi guidare, non l’avrebbe retto, troppo pericoloso.

Una contraddizione: si è realmente pronti, quando si è in grado di attendere pazienti, senza avere l’ansia di doversi proteggere, ma avendo la consapevolezza di poter comunque sopravvivere.

 

 

 

 

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