EMOZIONI IN MOVIMENTO

Pubblicato il da stefy.stefy

EMOZIONI IN MOVIMENTO

Da molto non erano ripresi i viaggi, ma da poco,  sporadici incontri accompagnavano trasferte all’ora di pranzo.

La Roma e la Parigi, del tempo in cui se il volo era in ritardo e io potevo pasteggiare a tartine e bibite da un buffet condiviso e in cui mi sedevo sulle comode e avvolgenti poltroncine delle lussuose lounge aeroportuali,  erano svanite. Al loro posto, nessun ritardo, se non quello universalmente tollerato all'inizio della video-call e sterili immagini di luoghi e edifici  iconici che identificavano i posti da cui si proiettava la propria immagine. La foto della Tour Eiffel illuminata o del Colosseo di giorno, Montmartre e  l’Isola Tiberina,  la Senna o i Fori Romani  facevano da  sfondo alle persone un po’ sbiadite e dai contorni poco contrastati, che,  invece di incontrare fisicamente, guardavo attraverso lo schermo del mio computer.

Che bello che è  lo strano di osservare le persone: il loro taglio di capelli; il trucco che si sbava un po’ sotto gli occhi; le occhiaie che si evidenziano alla luce artificiale delle sale riunioni; gli abiti, abbinati o scoordinati nei colori e nei modelli;  gli smalti sulle unghie curate e i favolosi e dimenticati badge appuntati alla cintura. Tutte quelle piccole imperfezioni che rendono unici gli individui.

Ero stanca, di una stanchezza bella e soddisfacente, ovattata nei pensieri perché avevo consumato energie a reagire a tutti gli stimoli visivi, olfattivi, e tattili che il cavo della rete e il video non trasportano.

Indietro, nel nuovo futuro, ero alla mia prima trasferta fuori città dopo tanto tempo, in attesa del volo per rientrare.

Avevo appena finito il mio caffè -che si, non si dovrebbe prendere nel tardo pomeriggio, ma no, non ce la potevo fare senza- e stavo andando verso l’area di imbarco. In una mano il telefono, nell’altra il trolley trascinato, la borsa a tracolla ed ero assorta in pensieri indefiniti, che faticavo a mettere a fuoco.

E poi, l’annuncio di un volo cancellato, il mio. Le cose cambiano, ma alcune rimangono uguali: due voli vicini pieni a metà del “MilanoRomaMilano”, possono diventare un solo volo, quello dell’orario più tardo, che riempiendosi, copre i costi.

Una musica in lontananza sta montando di intensità,  come ad avvicinarsi a me. Mi  distolgo dal mio torpore, concentrando la mia attenzione. Alzo gli occhi, mi guardo in giro. Poca gente distanziata e un basso vociare diffuso, intorno a me. Mi accorgo di alcuni movimenti che non avevo notato prima, occupata a scorrere le mail e le notifiche di Facebook; scorgo persone che si guardano e cenni del capo che si moltiplicano. I miei sensi si svegliano, gli occhi mettono a fuoco e le orecchie ascoltando più attentamente; le mani abbandonando il trolley e la saliva si asciuga nella bocca, che si schiude.

Alcuni uomini fissano alcune donne, quasi attirandole con il magnetismo di uno sguardo intenso, insinuante e  continuato; le donne, timidamente alzando il capo, incrociano quello sguardo e, a tratti osano sostenendolo. Quell’uomo e quella donna, insieme, disegnano una connessione, la percepisco, la vedo quasi, che, come un filo rosso,  li collega, li unisce e li attrae l’uno all’altro,  a ricongiungerli. L’incontro degli occhi ispira un impercettibile ai più, cenno del capo di lui, cui una, ancora più delicata movenza del capo di lei, risponde. Il filo si accorcia e loro, che si sono prima scelti e poi connessi nella danza dello sguardo, si alzano, si avvicinano, si intrecciano, unendo le braccia, sfiorandosi nei volti e connettendosi anche fisicamente all’interno dello spazio privato e unico creato dal loro abrazo, circostanziando il loro mondo.

Si raggiungono, sono quattro, cinque, sei forse dieci coppie intorno a me e io sono nel centro del loro mondo fisico.

Iniziano a muoversi, le donne volteggiano accarezzando il suolo sul quale scivolano, gli uomini sospingono dolcemente le mosse comandate a ballare la musica, che ora, è lì insieme a loro. Ogni coppia è diversa, nei colori, negli umori, nei sorrisi, negli occhi chiusi e trasportati, nella velocità e nella spazialità dei movimenti.

Ho la sensazione che tutto intorno si sia cristallizzato, annullandosi, ma loro no, come nel panning, in cui il resto è sacrificato a favore del soggetto a fuoco, su cui l’attenzione, tutta, è attirata. E anche io ne sono ipnotizzata dalla percezione di intimità e sintonia che si sta espandendo.

Da poco avevo iniziato un corso di Tango e stavo appena apprendendo i gesti necessari a comunicare e, come un bimbo che inizia a parlare, non ascoltavo, capivo poco e sapevo parlare ancora meno. Per questo, forse, non ho notato quella mirada rivolta a me, che continuava, nel testardo incaponimento del tanguero che si stava avvicinando e che voleva coinvolgermi -forse perché ero fisicamente in centro alla improvvisata pista.

Senza avere il tempo di capire cosa stesse succedendo, inchiodata e intimidita dallo sguardo che mi aveva agganciato, lasciandomi trasportare, mi sono trovata avvolta e accolta nel suo abbraccio.

E io che parlo sempre e sempre palerei, mi sono ritrovata con le parole soffocate nella gola, lasciando  che la mia eccitazione  e il mio disorientamento fossero comunicate dai movimenti del mio corpo.

Gesti impercettibili all’occhio, mi stavano marcando in modo inequivocabilmente chiaro passi semplici comandati che io riuscivo a seguire. Durante quella basica  caminada, ho avuto l’impressione di essere elegante nei movimenti, giusta negli allunghi, corretta nell’inclinazione e leggiadra negli appoggi.

L’empatia di quella conversazione senza parole si era espressa attraverso una richiesta che fosse all’altezza di quello che potevo dare, mi permetteva di sentirmi in me, libera; la comodità e l’accoglienza di quell’abbraccio, mi faceva leggere le marche e aumentava la confidenza e la fiducia,  permettendo ai nostri due corpi di muoversi come fossero un’unica entità.

Il mio stupore, la mia stanchezza, il luogo, la sorpresa avevano permesso a tutte le mie infrastrutture mentali di mollare e crollare. La sicurezza, la spavalderia, la capacità di lui ne avevano occupato il posto con una sollevante confidenza portante a cui mi stavo appoggiando.

Era un Flashmob, all’aeroporto di Fiumicino, di sparuti tangueri, allo scopo di diffondere un senso di condivisione e interconnessione in cui mi sono casualmente trovata e proprio nel momento in cui avevo da poco iniziato ad avvicinarmi al Tango. Non sono mai coincidenze, ma segni da seguire.

Finita la tanda, le coppie si sono divise e disperse, riprendendo le posizioni originarie nella meraviglia generale dell’applauso suscitato. Il mio ballerino mi ha sorriso,  mi ha ringraziato, riaccompagnandomi al mio trolley che era rimasto abbandonato e si è allontanato. Io sono rimasta a bearmi delle sensazioni private e provate e, con la bocca aperta.

In aereo, più tardi ho pensato che, per iniziare a imparare a praticare Tango, avevo bisogno di apprendere:

la capacità di entrare in contatto; la capacità di affidarmi e fidarmi; la volontà di accogliere e di farmi accogliere; la capacità di perdere i miei confini fisici a favore di nuovi confini condivisi e la volontà di lasciarmi trasportare dal nuovo io che si crea nell’abbraccio, che fonde i due esseri che si stanno unendo e forse molto di più che ancora non ho capito.

Per certo, ora so che i rari attimi perfetti valgono ben le poche e confuse certezze e la tanta fatica.

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